Cosa sarebbe successo ai veneziani se Venezia durante la pandemia non fosse stata una città turistica? Se la città fosse ancora un luogo abitato da cittadini e non (solo) da turisti? Come avrebbero affrontato i lunghi mesi di lockdown gli esercenti del centro storico di Firenze se la maggior parte delle case non fosse adibita a soggiorni brevi per turisti?
Le nostre vite, sia come singoli che in comunità, sono collegate e interdipendenti. Come è noto dall’industrializzazione in poi, con lo sviluppo dell’economia e le evoluzioni del mercato, anche le società e i centri urbani hanno subìto delle trasformazioni.
Le città non sono più soltanto luoghi geografici ma entrano a far parte del mercato globale in modo attivo, partecipativo e competitivo.
In un contesto in cui i movimenti delle merce e delle persone hanno abbondantemente superato i confini nazionali, anche le città entrano in competizione per attrarre su di sé l’attenzione di nuovi investitori, capitali, grandi industrie e persone (professionisti, turisti, studenti).
Il luogo, lo spazio urbano o extra urbano, diventa protagonista di campagne promozionali al pari di un qualsiasi prodotto del mercato. Si sviluppa una nuova tipologia di marketing: il place branding. Le nazioni, le regioni e le grandi città indicono concorsi internazionali per commissionare ad esperti di marketing la costruzione di un marchio (brand) identificativo e la creazione di campagne promozionali che ne migliorino l’immagine all’esterno.
Cosa è il City Branding?
L’insieme delle azioni messe in pratica per trasmettere un’immagine unica e accattivante della città è chiamato City Branding. È un fenomeno complesso e ancora in evoluzione e, forse per la sua multidisciplinarità, è oggetto di dibattito tra esponenti delle varie discipline.
Cercherò di ripercorrere lo sviluppo del concetto di brand applicato alle città facendo ricorso agli studi pubblicati, ma la mia ricerca si concentrerà sulle ripercussioni che tale fenomeno ha sui suoi abitanti provando a immaginarne i futuri sviluppi.
La città come prodotto
Se si cerca city branding su Google si ottengono 275.000.000 di risultati. Basta questo dato per capire quanto sia alto l’interesse per questa nuova strategia di marketing.
Per capire meglio l’evoluzione del city branding, è opportuno partire dal definire, seppur in linea generale, i concetti chiave.
Innanzitutto, la distinzione tra marketing e branding:
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il marketing è tutto ciò che si costruisce per preparare il mercato ad accogliere un prodotto o se vogliamo adottare la definizione di Philip Kotler, uno dei massimi esperti in materia, il marketing è l’individuazione e il soddisfacimento dei bisogni umani e sociali;
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il branding invece mira a creare un’immagine o un’idea del prodotto nella mente dei potenziali clienti per rendere la marca unica e riconoscibile. Il Brand genera una rete di associazioni cognitive e percezioni, ha un aspetto emozionale e deve attendere la fiducia del consumatore per avere successo.
Dalla fisicità del prodotto, con tutti i suoi attributi, ci si concentra sull’intangibile, l’immagine mentale, la percezione. La marca arriva prima del prodotto nel processo di scelta. Il consumatore si riconosce nell’insieme di valori e nell’identità del brand con cui ha instaurato un rapporto di fiducia.
La strategia persuasoria e i meccanismi mentali studiati per la costruzione dell’identià di un brand aziendale vengono declinati alla dimensione urbana.
E anche la città avrà un logo
L’opportunità di traslare il dominio semantico del “prodotto” al dominio “città” è un tema controverso. Proiettare gli attributi di un prodotto ad una città può rivelarsi inadeguato: la città è un sistema molto più complesso, così come le strategie di una campagna di lancio sul mercato non possono non tener conto dell’eterogeneità del pubblico coinvolto, delle sue fragilità, delle sue credenze ed equilibri sociali.
Parlare quindi di city branding solo in termini di management e marketing, sembra fuori dal perimetro della contemporaneità e rischia di escludere l’elemento immateriale intrinseco della città.
Tenendo conto delle differenze dovute al contesto storico e sociale, si può affermare che il place branding è sempre esistito (i romani avevano un simbolo che identificava i loro manufatti) e con esso l’esigenza di un luogo di distinguersi e promuovere i propri prodotti. Ma nessun paragone storico sarebbe appropriato. Le città oggi competono a livello globale in un mercato molto più sofisticato anche rispetto alla storia recente, e soprattutto si rivolgono a un pubblico molto più ampio con interessi a volte contrapposti: investitori interni ed esterni, aziende locali e straniere, piccoli artigiani come grosse holding, turisti ma anche lavoratori o studenti e, naturalmente, la comunità residente.
Gli effetti che le attività di branding hanno sulle comunità residenti è oggetto di dibattito tra gli esperti appartenenti a diversi ambiti. I sostenitori, in prevalenza esperti di economia e marketing, ne vedono le ricadute positive in un’ottica di sviluppo e benessere per la popolazione; i detrattori ne avvertono i pericoli e l’evoluzione in senso negativo. L’interdisciplinarità del fenomeno sta generando una corposa letteratura che si arricchisce di numerosi interventi di specialisti che osservano quanto sta accadendo dal punto di vista della propria sfera di competenza: sociologia, economia, marketing, architettura, psicologia, urbanistica, ecologia, scienze ambientali ecc.
Letteratura di riferimento per conoscere il city branding
La ricerca svolta dai ricercatori Kasapi e Cela (2017) mette un po’ d’ordine tra i vari scritti e ci aiuta a delineare i confini del city branding, le sue applicazioni e le diverse posizioni degli studiosi. Si tratta infatti di una rassegna della letteratura in merito che racconta le diversi fasi del concetto di brand partendo dalle sue origini (V secolo d.C) e ne osserva le trasformazioni di senso nel corso delle varie epoche. Per i due autori il city branding è ancora agli inizi della sua fase evolutiva.
Anche se il termine marchio si affianca al marketing già nel 1922, il suo significato era comunque legato all’oggetto e ne indicava la proprietà commerciale; infatti, è solo a partire dal 1960 che il concetto di brand si arricchisce di elementi visivi e intangibili, si slega dalla materialità del prodotto, acquisisce un’anima e incarna dei valori. Si inizia quindi a parlare di Brand Identity e Brand Personality (1980): un approccio applicabile a qualsiasi ambito (se tutto può essere considerato prodotto) e quindi riferibile anche alle città.
Kavaratzis e Ashworth (2005) sostengono che, quando si parla di brand riferito alle città, si deve considerare l’intera entità dei prodotti del luogo e la comunicazione deve partire dalle comunità residenti e dai racconti delle storie che proprio lì hanno avuto origine.
“Places do not suddenly acquire a new identity thanks to a slogan and a memorable logo” (Kavaratzis e Ashworth, 2005).
“I luoghi non acquisiscono improvvisamente una nuova identità grazie a uno slogan e un logo memorabile”.
I due autori non condannano l’uso di slogan o loghi, ma li ridimensionano classificandoli come strumenti all’interno di una strategia più grande che deve contemplare l’unicità della città, non solo per evidenziarne i tratti distintivi, ma per stimolare nel destinatario la creazione di associazioni mentali positive.
Le persone infatti hanno già delle mappe mentali legate a un luogo, conoscenze pregresse, informazione attraverso i media, esperienze personali…
Il compito del branding è modificare o aggiungere associazioni che generino nella mente delle immagini piacevoli
Da questa prospettiva, è plausibile il parallelismo tra marca della città e marca del prodotto; come insegnano i teorici del marketing, si tende a scegliere un oggetto o un servizio non più in base alle prestazioni, ma in base alla marca, alla quale si è legati da un rapporto di fiducia, per i valori e per le sensazioni che ci trasmette. Gli stessi meccanismi con i quali si è indotti a scegliere una città.
Uno degli obiettivi che un’amministrazione persegue quando attua una strategia di city branding è evidentemente quello di influenzare le persone per invogliarle a comprare il prodotto-città. Allo stesso modo in cui l’azienda cura il packaging per calamitare l’attenzione del consumatore, così si studia l’aspetto grafico e un logo per rappresentare la città.
Città in veste grafica, loghi e City Branding
Milton Glaser era un graphic designer americano tra i più famosi al mondo. Può essere considerato il precursore dell’utilizzo del logo per rappresentare una città. Venne chiamato dal Dipartimento di New York con il compito di dare una nuova immagine alla città che in quel periodo stava vivendo una fase di difficoltà economica e sociale. Creò il logo I love New York (1976): il logo più riprodotto della storia. E ancora oggi suscita l’idea di una città in cui tutto è possibile.
Il successo della campagna, secondo Glaser, è dovuto al fatto che tutta la popolazione si è sentita coinvolta e unita sotto lo stesso simbolo, è cambiata la percezione della propria città e cambiando le credenze, si è cambiata la realtà.
Esistono numerosi studi sulle singole campagne che si sono susseguite dopo quella di New York. Il mondo è completamente diverso rispetto quello in cui ha operato Glaser nel 1976 e così anche l’approccio e le finalità con cui le città creano il loro logo.
Un logo deve riuscire a racchiudere la complessità e il dinamismo di una cultura in un simbolo. Deve mostrare l’intangibile.
Esempi di City Branding
Alcuni dei casi di campagne di branding che emergono per l’originalità e per la portata del messaggio sono:
Melbourne (2009)
Fu tra le prime a utilizzare un logo (M di Melbourne) con sistema visivo variabile in base al contenuto. La scelta di alternare le illustrazioni ha la funzione di rendere l’idea di città progressista e in continua evoluzione.
Amsterdam (2004)
È uno dei primi casi in Europa. Il logo è quasi uno slogan: I Amsterdam dove I Am è di colore rosso per evidenziare la persona che entra in relazione con la città. È un messaggio inclusivo che celebra diversità e soggettività e che invita le persone a far parte del progetto città.
Bologna (2013)
Ha creato una serie di simboli, tutti riconducibili a un unico logo che varia in base al concetto che si vuole esprimere. Presenta una città non preconfezionata, senza schemi fissi, ma suggerisce una fruizione casuale (immersione random), partecipativa, per tutti i gusti. Tanti modi diversi di vivere la città uniti dal claim “è Bologna”.
Il City Branding è una grande opportunità
Simon Anholt è un consulente politico indipendente, autore e ricercatore, massimo esperto di Nation e City Branding. Ha creato nel 2005 il Nation Brand Index, rapporto che misura la reputazione di una città o nazione: un punto di riferimento per chi si occupa di place branding. Secondo Anholt, una nazione non può permettersi di fare a meno di una strategia di branding. Se uno Stato (così come una città) non cura l’immagine della propria identità, significa lasciare che lo facciano i governi stranieri o l’opinione pubblica che è ignorante.
IMMAGINE DI COPERTINA TRATTA DAL FILM Silent Hill
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