Nel mondo della comunicazione, sul web e sui social tutto corre veloce. La memoria fatica ad ancorarsi a fatti e tendenze che la sera risultano già vecchi. Ti capita di parlare sulle pagine del blog di un argomento e ti chiedi a distanza di un paio di anni se qualcosa sia veramente cambiato. In un precedente articolo ho parlato degli stereotipi di genere nella pubblicità e dei benefici (non solo economici) di un marketing inclusivo.
Non mi pare che sia cambiato molto. Certo, i grossi brand sono sempre più attenti all’approccio comunicativo, a quello che si può e a quello che converrebbe dire. A prescindere dalle finalità, l’importante è che questa inclusività prenda il sopravvento, ma it’s a long way to the top anche senza chiamare in causa il rock ‘n roll.
Come in ogni settore, i big dettano legge e si spera che le piccole aziende prendano appunti. Con maggiore criticità, riflettendo magari sul valore della propria identità e sul peso delle scelte comunicative.
Ogni azienda, attività commerciale, libero professionista prima di vendere prodotti e servizi trasmette un messaggio che influenzerà inevitabilmente il risultato delle sue azioni.
Le immagini che accosterai alla tua azienda, ogni slogan promozionale che sceglierai di utilizzare avrà un impatto sulla comunità. In gioco c’è la responsabilità sociale, piccola o grande che sia. Ma se di questo non te ne frega una beneamata pipp* tiriamo in ballo il volgare danaro. La sessualizzazione delle comunicazione ti aiuta a vendere?
Secondo lo studio Does Sex Really Sell? Paradoxical Effects of Sexualization in Advertising on Product Attractiveness and Purchase Intentions, pare proprio di no!
La ricerca condotta dal team italiano mette in luce come le strategie di marketing basate sull’assunto che il “sesso vende” siano completamente da rivedere. All’interno del campione preso in esame, le donne hanno reagito negativamente agli annunci sessualizzati sia femminili che maschili rifiutando di acquistare i prodotti. Anche gli uomini non hanno mostrato alcun incremento significativo né sull’attrattiva del prodotto né sulle intenzioni di acquisto. Quindi l’uso di stereotipi nella pubblicità è controproducente e inutile sia per gli uomini che per le donne.
Nonostante ciò, una vasta gamma di prodotti, dai profumi all’alcol, ha storicamente presentato le donne, e continua a farlo, come un oggetto del desiderio. La pubblicità si allontana dalla vendita esplicita del prodotto per promuovere cliché e stili di vita idealizzati. Con rappresentazioni distorte della nostra società occidentale si mettono ancora troppe barrire che fortificano disuguaglianze di genere, tolleranza alle molestie sessuali e cultura dello stupro.
Sebbene immagini sensuali e l’esaltazione della bellezza (si, ma quale?) attirino ancora l’attenzione, occorre valutare il livello di engagement di un pubblico che ormai ha compreso le bugie e le forzature del marketing pubblicitario. Far cadere l’occhio su un banner o su un cartellone non basta più. Anzi può avere effetti altamente disastrosi se il messaggio che veicola urta la sensibilità dei prosumer.
I giovani sono più resistenti ai vecchi sotterfugi della comunicazione dove la componente sessuale ha egual valore del prodotto scontato solo per le prime 30 telefonate (e ricordati di mettere il prefisso per chi chiama da fuori Roma…). La componente femminile e la sua rinnovata emancipazione sono sotto gli occhi di tutti e, per carità, non bollatela come femminismo. Se i messaggi delle campagne pubblicitarie saranno pervase dall’inclusività ce ne avvantaggeremo tutti. Brand che vendono e noi immersi in un clima più positivo.
Come una sorta di domino, spero che il messaggio arrivi anche alle piccole aziende locali. Quelle della piccola provincia italiana, di cui si parla e si conosce solo nei fatti di cronaca nera, quelle del sud che fanno spallucce dicendo eh, ma noi non siamo a Milano. Siamo tutti chiamati a lavorare a questo cambiamento. Ognuno farà la sua parte. Quindi se anche tu hai scelto per la tua campagna promozionale di ritrarre una ragazza che abbraccia un prosciutto, fatti due domande (Hannibal Lecter è invitato a non intervenire in questa discussione).
IMMAGINE DI COPERTINA TRATTA DAL FILM Priscilla – La regina del deserto.
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