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Qualche giorno fa ho scoperto che ChatGPT ha compiuto un bel balzo in avanti con la produzione di immagini. Pochi giorni dopo, vengo travolto dalla moda “studio Ghibli” e così decido di sperimentare personalmente. Comincio a chiedere all’IA di elaborare un sacco di foto. Il risultato è sorprendente. Per chi, come me, ha amato profondamente i film di animazione di Miyazaki, è sembrato di vivere un sogno. Ma, come tutti i sogni, bisogna poi fare i conti con la realtà.

 

 

 

 

La Casa Bianca e la foto “ghiblizzata” di una immigrata

Confesso che la prima notizia della possibilità di “ghibilizzare” le immagini mi è arrivata tramite un evento che definire grottesco, è limitativo: alcuni giorni fa la Casa Bianca ha pubblicato, sui suoi profili social la foto di una immigrata clandestina in versione studio Ghibli. Si tratta di una foto del 2019 e la donna, Virigina Basora-Gonzalez, all’epoca aveva 36 anni. Il motivo dell’arresto era traffico di fentanyl, una droga che sta distruggendo molti americani nel silenzio generale di politica e media. Al di là di questa notizia, comincio a sperimentare e i risultati sono sorprendenti.

 

Con brevi prompt chiunque ha la sensazione di essere dentro uno dei film di animazione più belli della storia

 

O forse è molto peggio di così: si ha la sensazione di essere dei creativi. Come accennavo, la prima reazione è l’euforia. Non nego di essermi lasciato prendere la mano. La magia è troppo bella e ancora non capisco qual è il prezzo da pagare per poter godere dei benefici di questo sortilegio. Poi, mentre il mio feed di Instagram si riempie di foto ghiblizzate, mentre nelle mie conversazioni private racconto di questa euforia, mi capita un reel che rompe l’incantesimo. È un reel di un video in cui parla proprio il fondatore dello studio Ghibli, Hayao Miyazaki. Era il 2016. Il video è tratto da un documentario dedicato al creatore di Totoro e altri capolavori di animazione.

 

Un gruppo di tirocinanti gli aveva proposto una breve animazione, in cui mostrano una sorta di creatura deforme camminare poggiandosi sulla testa.  Questa fu la sua reazione:

“Provo un fortissimo disgusto. Se volete davvero fare cose del genere, vi dico che è un insulto alla vita stessa. Mi piacerebbe sapere che tipo di persona possa pensare che una cosa del genere sia interessante. È assolutamente inaccettabile.

Io, ho un amico con disabilità. A causa della sua malattia, muove il corpo in un modo simile. Pensate che potrei ridere di qualcosa del genere? Non ci riesco. Sono totalmente disgustato. Non voglio nemmeno guardarlo.

Non ho alcun desiderio di incorporare roba del genere nel mio lavoro. Credo che questo dimostri quanto gli esseri umani siano diventati insensibili”.

 

 

 

 

Dobbiamo cominciare a riflettere sul nostro rapporto quotidiano con l’intelligenza artificiale

Per quanto io sia propenso all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel copywriting ma anche in altri contesti, il video di Miyazaki è denso di significato e difficilmente può essere ignorato. Al di là della questione del copyright, su cui attualmente c’è un enorme buco giuridico (la stessa problematica ci fu con internet), la questione può e deve anche essere vista da una prospettiva etica.

 

Miyazaki sostiene che l’umanità è diventata profondamente insensibile e si sente disgustato per questo

 

A pensarci, chi di noi lo ha fatto ha ottenuto, con un breve prompt e in pochissimi secondi, quello che spesso è il frutto di mesi e mesi di lavoro. Abbiamo ottenuto un risultato ma senza avere né la competenza né l’esperienza per ottenerlo. In altre parole, significa andare alla cieca. Pur non conoscendo Miyazaki (ma avendo una infarinatura della cultura giapponese per via della mia passione per le arti marziali), i risultati e i benefici sono frutto di esperienza e fatica. Si potrebbe dire anche frutto del dolore, in un certo senso, inteso come quella fatica o sforzo che ci porta a imparare a fare una cosa praticamente in modo perfetto.

 

 

 

Etica e intelligenza artificiale

Come scrivevo prima, dobbiamo cominciare – prima che sia troppo tardi -, a inquadrare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sia da un punto di vista giuridico che etico. Diverse riflessioni sono già emerse da questo punto di vista ma i principi generali spesso non sono così efficaci nel contesto quotidiano.

Un po’ come è accaduto per i social media, dobbiamo sforzarci di riflettere su quali siano le conseguenze delle nostre azioni. Se, da un lato, io penso che l’intelligenza artificiale potrebbe (ma non è detto) emanciparci da molti lavori usuranti (ad esempio dell’industria automobilistica o nei settori primari), non deve però sostituirci in ciò in cui siamo davvero capaci: essere intelligenti.

 

 

 

 

Filosofia e intelligenza artificiale: una prospettiva etica

In un libro che sto attualmente leggendo, Etica dell’intelligenza artificiale, scritto dal filosofo Luciano Floridi si sostiene che “intelligenza artificiale” è un termine vago e inappropriato: piuttosto, si tratta di un “agente artificiale”. L’intelligenza, ancora, spetta a noi. Ma, alla luce dell’episodio legato allo studio Ghibli, mi viene da aggiungere che, forse, dobbiamo sforzarci di non illuderci di essere meno intelligenti di quanto siamo. Ad esempio, facendo fare il lavoro creativo all’intelligenza artificiale o, peggio, convincerci che bastano poche frasi e poche istruzioni per fare di noi degli esperti nel campo dell’animazione (o di qualsiasi campo). Proprio come diceva Miyazaki, dovremmo evitare di insultare la vita e non dobbiamo sottrarci al dolore che la nostra intelligenza ci chiede per raggiungere i nostri obiettivi. Perché la questione non è il risultato, ma l’esperienza che abbiamo prodotto per ottenerlo. E l’esperienza, quella, non c’è intelligenza artificiale che la possa fare al posto nostro.
 

IMMAGINE DI COPERTINA TRATTA DAL FILM Il mio vicino Totoro.

 

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