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Esistono molti modi per raccontare un fatto. Decido di attenermi rigidamente solo a ciò che è dimostrabile e riporto ogni singolo evento cercando di non far trasparire la mia opinione. Oppure posso enfatizzare un accaduto, una piccola sfumatura che da particolare marginale diventa l’incipit narrativo magari per una grande bufala. Quindi esagero perché voglio attirare l’attenzione. La fame di followers e condivisioni mi spinge a distorcere i fatti con mezze verità con la speranza di avere gli occhi puntati addosso. Rimango in attesa dei miei 15 minuti di fama.

 
 
“Mette mezzo litro di coca nel water…quello che succede dopo è pazzesco!”

 
 
“Il video che sta facendo commuovere il web.”

 
Questi sono solo alcuni esempi, ma partiamo dal principio…
 
 
 

Cosa è il clickbait?

Forse il termine clickbait o clickbaiting non ti dirà nulla, ma sono sicuro che ti sia imbattuto spesso in questa piaga del web. Letteralmente significa “esca da click” e consiste in una trappola cognitiva che sfrutta immagini accattivanti e titoli sensazionalistici per indurre l’utente a scoprire di più sul contenuto proposto. La curiosità si trasforma in un click che genera traffico su un sito web aumentando il rendimento dei banner pubblicitari presenti o perpetrando oscuri piani di link building. Il fenomeno del clickbaiting infesta i social grazie alla viralità con cui si diffondono i post traghettando il lettore verso un contenuto cha ha poco o nulla a che fare con le sue premesse.
 
Questa tecnica per monetizzare a mani basse sul traffico sta contagiando anche i palinsesti più seri. La strategia è semplice, innescare curiosità e spingere a cliccare su un titolo. Si cavalcano notizie di cronaca distorcendo volutamente i fatti con ambiguità caricando i contenuti di aspettative e molto spesso di sentimenti negativi. In rete l’odio è un carburante nobile, parafrasando Manuel Agnelli. L’aspetto emozionale gioca un ruolo chiave, con l’immigrato di turno che una volta entrato nel belpaese si comporta come fosse a casa sua se non peggio, il vip beccato in flagrante in condizioni non del tutto presentabili, o la classe dirigente che viene smascherata impunemente a fare cosa…si, a fare cosa? Scoprilo con un click!
 
Il fenomeno del clickbait è amplificato dal modo in cui gli utenti vivono i social. Sempre connessi e con il pilota automatico lasciano commenti spesso basati sulla sola interpretazione di un titolo e l’effetto è devastante. Una bufala postata nel momento giusto, qualche commento e la polemica diviene virale con migliaia di visualizzazioni. Questa tecnica di marketing funziona a tal punto che Facebook ha sentito il bisogno di regolare e ripulire la sua News Feed. Gli utenti sono alla ricerca di risultati autentici e le modifiche interverranno sull’algoritmo come un filtro anti spam che penalizzerà titoli farlocchi e pagine che basano il loro successo sul clickbaiting. Meglio diminuire la visibilità di questi contenuti e arginare il fenomeno, non sia mai che gli utenti si stanchino di usare il social di Zuckerberg…
 
 
 

Il clickbait in Italia

Il clickbaiting in Italia ha generato una valanga di siti che cavalcano l’onda del click usa e getta. Le tematiche sono le più disparate e a loro modo cercano di targettizzare il pubblico escogitando delle esche basate sulle debolezze e sugli interessi delle persone. Si parla quindi di cospirazione, scie chimiche, terrorismo meteo (dannate bombe d’acqua!), salute e benessere sempre in nome di una indipendenza dell’informazione, controcorrente, fuori dal coro e naturalmente marchettara. Sono tantissimi anche i siti dai contenuti più leggeri che si fanno promotori di un malsano intrattenimento senza per forza ricorrere alle bufale. E allora via libera agli epic fail
 
 
 

Come siamo arrivati al clickbaiting?

Il clickbait avanza inarrestabile con la crisi della carta stampata. Le testate giornalistiche si trovano in grossa difficoltà e la svolta online non si è rivelata proprio una gran miniera d’oro. Il problema forse è nell’approccio al giornale online ancora troppo ancorato alle vecchie dinamiche dell’editoria. Sul web tutto viaggia velocemente, le notizie arrivano in tempo reale e un’informazione diventa vecchia nell’arco di una manciata di minuti. Poi il profilo del lettore online è quanto di più distante possa esistere dal suo alter ego del secolo scorso. Il vecchio consumatore di carta stampata attendeva pazientemente davanti all’edicola di fiducia l’uscita della sua rivista preferita. La sfogliava con cura, magari lasciando per ultimo articoli che avrebbe letto durante il periodo di astinenza prima della pubblicazione del nuovo numero. Oggi il lettore online fruga e assaggia contenuti come un viaggiatore cerca di fare orario allo shop dell’aeroporto con la differenza che sul web tutto è gratis o almeno così sembra!
 
La stampa non può reggere una sfida con i contenuti usa e getta e la pubblicità a stento riesce ad equilibrare il disavanzo di bilancio.
 

Ma cosa succederebbe se improvvisamente alcune pagine venissero visitate producendo una marea di click?

 
Le pubblicazioni che si trasformano in contenuti virali sono capaci di attrarre non solo il lettore tipo del magazine online ma una fascia molto più ampia. Una moltitudine di utenti che generano una valanga di traffico che può risollevare le sorti della testata.
 
 
 

C’è vita dopo il clickbait?

Secondo Bryan Goldberg il modello economico di monetizzazione basato sul clickbaiting non è destinato a durare a lungo per una serie di motivi che dipendono dalla sua stessa natura. Per prima cosa questo metodo di business è legato a doppia mandata a contenuti di scarso valore facilmente replicabili. Possiamo trovare lo stesso post in testate giornalistiche differenti non portando quel valore aggiunto sulla lunga distanza. Viene meno insomma la capacità di sedurre un lettore fidelizzandolo pubblicazione dopo pubblicazione. A questo si aggiunge la scarsa professionalità richiesta per partorire simili contenuti. Abbandoniamo quindi la laurea in giornalismo e tutti quegli inutili e lunghi reportage a cui eravamo abituati sulla carta stampata.
 
Su una posizione diametralmente opposta Steve Hind, giornalista scafato del quotidiano inglese The Guardian. Sostiene infatti che il clickbait sia una vera opportunità da non confinare solamente nei portali di satira o di contenuti virali come Upworthy e Buzzfeed. Un’esca che porta centinaia di lettori su una pagina web può essere utile per promuovere anche qualcosa di più impegnato.
 
 
 
Siamo attratti da contenuti che riscuotono successo e navighiamo online cercando di mantenere al minimo il dispendio di energie. La curiosità ci spinge a compiere azioni e cliccare su post invitanti senza valutare le possibili implicazioni. Siamo vittime in un certo senso di un innato spirito di emulazione per cui un post visualizzato e condiviso da molti utenti significa che forse vale la pensa di dargli un’occhiata. Il pericolo che si corre è minimo e quindi lo sforzo cognitivo per valutare se cliccare o meno non ha alcuna ragion d’essere. Le cose però stanno cambiando e, come una sorta di anticorpo, l’utente sta sviluppando un’avversione al contenuto fraudolento che non corrisponde a quanto promesso. Un sentimento di delusione va diffondendosi per essere arrivati ad una pagina che ci ha gabbato con un titolo costruito ad hoc da chi vuole monetizzare alle nostre spalle. Anche i cani di Pavlov prima o poi capiscono il funzionamento del sistema.
 

IMMAGINE DI COPERTINA TRATTA DAL FILM Le avventure di Pinocchio.
 

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