C’era un tempo in cui si cercava di estrarre il principio spirituale dalla materia. E lo si faceva attraverso formule esoteriche, esalazioni mercuriali e principi metafisici. Un tempo che si è concluso tre secoli, fa, quando un chimico di nome Lavoisier segnò l’inizio della chimica come la conosciamo oggi, sancendo la fine dello studio sulla materia così come si era fatto per millenni. Era il tempo dell’Arte Regia, meglio conosciuta come alchimia. E del linguaggio simbolico per eccellenza.
Alchimia e linguaggio ermetico, storia di un pensiero che parte dalla materia per arrivare allo spirito
La prima volta che mi imbattei in qualcosa di legato alle tematiche sull’alchimia fu mentre studiavo al liceo. Ricordo che, mentre facevo visita alla mia allora libreria di fiducia, trovai un libro scritto da un certo Fulcanelli e intitolato “Il mistero delle cattedrali”. Un libro molto voluminoso, composto perlopiù dalle spiegazioni dei dettagli delle sculture presenti sulla facciata della cattedrale di Notre Dame di Parigi. Sfogliando alcune pagine, il libro spiegava che le sculture e i bassorilievi presenti erano la porta per un universo parallelo verso un altro mondo, un mondo vecchio di millenni, le cui radici (lo scoprii molto tempo dopo) sprofondavano nei templi dei sacerdoti egizi, i cui rituali e preghiere furono a fondamento delle prime scoperte legate alle reazioni chimiche. Non riuscendo a comprendere minimamente il senso di quel testo e di quelle immagini, decisi di acquistarlo. Non capii una sola parola di quello che leggevo e questo suscitò in me un fascino enorme.
Il linguaggio ermetico
Negli anni scoprii che era un metodo tipico degli alchimisti, quello di parlare o scrivere attraverso il così detto linguaggio ermetico. Il linguaggio di Ermes, o il dio Mercurio per i romani. Tutti gli elementi erano confusi. Più rileggevo quel libro e meno capivo. E, a dire degli alchimisti, andava bene così. Passarono alcuni anni, misi quel libro da parte. Nel frattempo, vissi la mia vita, feci altre letture più sporadiche sul tema, ripromettendomi che, appena avrei avuto occasione, me ne sarei occupato con gli strumenti e i tempi giusti.
Una laurea in filosofia è sempre una buona occasione per studiare cose che non si capiscono
Quando proposi al mio relatore una tesi di laurea sull’alchimia, per la tesi triennale, lui mi consigliò di partire, piuttosto, da un alchimista. Ma, per fare questo, dovevo capire tutto quello che era successo prima di lui. L’alchimista era Paracelso, medico e filosofo naturalista vissuto nel XVI secolo, piuttosto famoso per due aspetti: le parolacce che scriveva nelle sue opere per offendere i propri colleghi che disprezzava, e la scoperta che ogni cosa è veleno ( tutto dipende dalla dose con cui la si assume). Oltre a questo, scoprii tante cose interessanti, che purtroppo non ebbi modo di approfondire. La mia era pur sempre una laurea in storia della scienza. Questo significava che tutta la parte esoterica e simbolica era un argomento che non poteva far parte della mia ricerca.
Il linguaggio alchemico è molto più comune di quanto non si pensi
Non c’è bisogno di far parte di qualche setta segreta per avere a che fare con l’alchimia, soprattutto quando si tratta di linguaggio. La psicologia freudiana ne è piena. Quando si parla in psicologia di sublimazione, si intende la capacità di veicolare le nostre pulsioni verso attività socialmente condivisibili. Ma più che Freud, fu Jung con gli archetipi a prendere a piene mani dall’universo alchemico. Non a caso, l’allievo di Freud scrisse un libro intitolato “Psicologia e alchimia”, in cui si formalizza quello che secondo Jung è una sorta di processo simbolico: infatti, l’alchimia sarebbe, da questo punto di vista, non tanto una proto-scienza quanto una psicologia primordiale, se così possiamo dire. L’immagine più classica dell’alchimista che manipola i metalli vili per tramutarli in oro, non sarebbe che un viaggio verso la scoperta di sé.
Gli archetipi tipici della tradizione alchemica non sono altro che forze dinamiche psichiche inconsce
Ovvero, in mancanza di strumenti razionali e analitici, gli alchimisti avrebbero individuato nelle figure archetipiche la possibilità di raccontare, attraverso una certa simbologia, un inconscio profondo che non sarebbe potuto emergere altrimenti. Senza addentrarci oltre questi argomenti, ciò che più colpisce è il racconto attraverso la simbologia.
L’alchimia come linguaggio simbolico
Come accennavo sopra, l’alchimia è, da un certo punto di vista, una disciplina che insegna tanto sulla simbologia. Ma questo denota anche rischiare fraintendimenti, o rischiare di pensare che tutti parlino lo stesso linguaggio e che quindi i simboli siano uguali e interpretabili da tutti allo stesso modo. Invece non è affatto così. E l’alchimia stessa lo dimostra, con le sue mille definizioni e rivoli simbolici per indicare uno stesso processo. Se, da un lato, possiamo dire che questa è anche considerabile come una forma di arricchimento del linguaggio, da un altro punto di vista si rischia non solo di non farsi comprendere, ma anche di non sapere più di che cosa si sta parlando.
La morte dell’alchimia e la nascita del linguaggio universale
Mi azzardo a dire che l’alchimia è stata uccisa dal linguaggio universale per eccellenza: la matematica. Nell’età moderna, in particolare con il positivismo del XIX i filosofi naturalisti avevano la necessità di definire e catalogare il mondo secondo criteri razionali e universali. Per questo la matematica era perfetta: dalla chimica alla fisica all’economia, era un linguaggio applicabile e comprensibile da tutti. Un linguaggio, certo, e in quanto tale composto da simboli. Perché di questo si tratta: agganciare ad un certo segno un determinato significato. Ma, probabilmente, senza tutti quei tentativi (che fossero rivolti al proprio inconscio o verso lo studio della natura non è così importante) di trovare un linguaggio che sapesse descrivere l’universo, lo dobbiamo anche, e soprattutto, agli alchimisti. La loro straordinaria capacità di raccontare e interpretare, attraverso i miti e gli archetipi la natura (umana), ci ha permesso oggi di trovare un linguaggio chiaro, universale e netto. Rimarranno sempre e comunque dei personaggi misteriosi, a volte perfino un po’ folli. Ma forse va bene così. D’altro canto, non era loro prerogativa farsi capire. E, a dirla tutta, non è che noi possiamo dire che sia più facile comprendere la teoria della relatività generale, rispetto ad un qualunque trattato alchemico.
IMMAGINE DI COPERTINA TRATTA DAL FILM The Witch.
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