Da bambino mi ricordo interminabili pomeriggi divisi tra compiti e sessioni di svago televisivo. Cartoni animati nipponici di robot che si affrontavano a colpi di raggi gamma, storie post apocalittiche non sempre a lieto fine e creature demoniache che passavano con nonchalance da innocui dialoghi alle scene più splatter. Tutto era condito da una valanga di pubblicità, targettizzata secondo i parametri del periodo e inoculata direttamente alla fonte. Se vuoi impossessarti del consumatore devi forgiarlo sin da quando è piccolo. I brand avevano capito l’importanza delle nuove leve!
Parliamo di consumismo, di traffico di beni e del loro indiscriminato acquisto da parte della popolazione. La sua demonizzazione sembra sia venuta un po’ a mancare riducendolo ad un fenomeno prettamente socio economico delle società industrializzate. Prima di allora la felicità forse era un pezzo di pane, il raccolto andato bene ed aver evitato la peste. Non esisteva ancora il problema di come sostenere la produzione incentivando il consumo o di quali fossero le tecniche pubblicitarie più adatte per esasperarlo.
Oggi il marketing è guerra!
Le aziende hanno bisogno del tuo sostegno e non importa con quali espedienti si creino bisogni, aspettative ed una luccicante idea di felicità. I brand vogliono cercare a tutti i costi di instillarsi nella mente del consumatore. Da questo presupposto Le bugie del marketing, come le aziende orientano i nostri consumi è un libro che cerca di far luce sul lato oscuro delle politiche pubblicitarie delle grosse aziende. L’autore, Martin Lindstrom, ha collaborato con diverse multinazionali sparse per il pianeta, giganti del calibro di Coca Cola, Red Bull, American Express, IBM, Pepsi e Nestlé, solo per citarne alcuni. Ha servito il nemico, ha contribuito alle sue vittorie per poi passare dall’altra parte della barricata. Lindstrom nel suo libro rivela infatti i trucchi e le trappole psicologiche con cui i brand cercano di fare nuovi proseliti. Evidenzia come lo studio comportamentale dei consumatori sia alla base di ogni strategia di vendita.
Le neuroscienze aiutano a comprendere come avviene la gestazione delle scelte di acquisto. Apparentemente crediamo che le specifiche tecniche del prodotto e il suo prezzo siano dati fondamentali che concorrono su base razionale a motivare i nostri esborsi. In realtà la componente emotiva ed emozionale gioca un ruolo predominante. Lavora sulle paure del consumatore, fa leva sulle sue insicurezze. Essere accettati e stimati, il desiderio di appartenenza ad un preciso contesto sociale, il timore di non avere successo, la paura della solitudine sono alcuni tra i propulsori del consumismo veicolato dalle sollecitazioni visive a cui siamo soggetti.
Bambini e adulti
All’interno del libro Le bugie del marketing Lindstrom propone uno spaccato delle spregiudicate politiche di marketing dei brand. Gli esempi sono innumerevoli e sebbene alcuni siano facilmente smascherabili, altri colpiscono perché studiati per agire in modo subdolo e indiretto. Una bomba pronta a deflagrare anche a distanza di anni. Più siamo giovani quando iniziamo a usare un brand o prodotto e più è probabile che continueremo a usarlo per molti anni a venire.
Fare breccia nel desiderio di acquisto di un bambino significa esporre la sua intera famiglia a quel prodotto o servizio. Guarderai con occhi diversi i capricci del moccioso di turno che insiste tra le corsie del supermercato affinché il genitore lo accontenti mettendo nel carrello quella confezione di cereali. Marchi pensati appositamente per un pubblico giovane con loghi fumettosi e personaggi studiati apposta per la réclame non nascono certo da scelte casuali. Tanti saluti Ronald McDonald, il tuo aspetto da pagliaccio oggi è troppo vicino alle sembianze di Pennywise. Anche i genitori dal canto loro esercitano una pressione nella direzione opposta con scelte di acquisto che, con buone probabilità, i figli manterranno in età adulta.
La paura
Abbiamo bisogno di certezze ed il futuro forse oggi fa un po’ più paura. D’altronde quante cose sfuggono al tuo controllo? Quasi tutti abbiamo paura dell’economia, di perdere il lavoro, della solitudine, di non avere amici, del terrorismo, dei virus che infettano il tuo computer, di vestirci male, di avere del prezzemolo in mezzo ai denti…
Ma non temere, il brand ha la soluzione giusta per il tuo problema. Un problema che non pensavi manco di avere. L’unica cosa che conta ora è che la cura sia disponibile. I brand sfruttano una paura generalizzata che spinge il consumatore, in cerca di un disperato conforto, dritto tra le loro braccia.
Le pubblicità generano nuove paure e amplificano quelle esistenti incentivando l’acquisto di prodotti fino a poco tempo fa improbabili. Fastidi transitori oggi costituiscono una grossa fetta del fatturato di molte case farmaceutiche che spendono quasi il doppio in promozione piuttosto che in ricerca e sviluppo. Per non parlare poi della germofobia, legata al timore di contrarre malattie e alla morte. Disinfettanti da passeggio, prodotti biologici senza pesticidi, detersivi clinicamente testati non ci renderanno più sani, ma forse contribuiranno ad allontanare il pensiero di ammalarci. Quindi se hai l’abitudine di non prendere il primo prodotto a portata di mano dallo scaffale e sceglierne uno dal fondo, tieni presente che il 72% dei consumatori si comporta allo stesso modo.
Stereotipi
Il marketing deve venderti un’idea anche quando questa è molto lontana dalla realtà e sembra più un’illusione. Prendi ad esempio il mondo del biologico e di come la sua esaltazione lo abbia trasformato agli occhi dei consumatori. Negozi allestiti ad hoc con elementi di arredo che richiamano fattorie e contesti in cui la tecnologia non sembra averci messo lo zampino. Tutto sembra comunicare un’idea di artigianalità e purezza. L’attenzione per i dettagli poi non manca. Le lavagne scritte con i gessetti colorati richiamano i mercati di strada. Lo scarabocchio col gessetto lascia pensare che il prezzo cambi di giorno in giorno. Il contadino arriva di buon mattino, scarica la merce e riparte per la sua fattoria. Tutta un’altra storia se i prezzi fossero canonicamente presentati su delle seriali etichette di plastica.
Oggi la perfezione non sempre è sinonimo di qualità, insospettisce il consumatore. L’acquirente va alla ricerca delle piccole imperfezioni, le aziende lo sanno. Quelle mele splendenti di un rosso acceso non ti trascinano più nel mondo della Disney. I difetti nei prodotti creano autenticità. Non stupirti quindi se al supermercato troverai in vendita i pomodori ancora appesi al tralcio o le patate sporche con un po’ di terra.
Altri esempi random..
Il gioco crea dipendenza fisiologica al pari delle sostanze stupefacenti. Il giocatore ha bisogno di dosi sempre maggiori per ottenere l’effetto piacevole, ma riceve una scarica di dopamina anche quando sembra che abbia mancato la vittoria per un soffio. Per questo è fondamentale mantenere la parvenza che la vittoria sia alla sua portata. Discorso simile ad esempio con le slot machine e le loro combinazioni di simboli vincenti. La riga superiore o inferiore stranamente avrà quel segno che ti ha separato dalla vittoria. Allora ritenta, sarai più fortunato…
I percorsi tra le corsie del supermercato sono sempre più complessi. Con regolarità viene cambiata la disposizione dei prodotti e per affrontare la spesa è richiesto un impegno sempre maggiore. Si fatica a completare la lista delle cose da acquistare, si cammina più lentamente e di contro aumentano i prodotti che finiscono nel carrello. Questa attività diventa una sorta di gioco, al temine del quale viene spontaneo premiarsi comprando qualcosa che non era presente nella nostra lista della spesa.
Martin Lindstrom offre nel suo libro molti altri esempi oltre quelli che ho citato. I brand investono grossi budget nella ricerca. Gli studi condotti attraverso la risonanza magnetica svelano cosa pensano i consumatori quando sono soggetti a certi messaggi pubblicitari. Le tracce che lasciamo in rete sono poi una preziosa fonte di informazioni per mappare le nostre pulsioni di acquisto. Karl Marx in tempi non sospetti aveva teorizzato lo sviluppo di una malsana tendenza al consumo con il feticismo della merce. A quest’ora si starà rivoltando nella tomba e parafrasando Feuerbach non possiamo che prendere atto che L’uomo è ciò che consuma.
IMMAGINE DI COPERTINA TRATTA DAL FILM The Prestige.
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